Nello studio del capitano  tutto taceva con un rigoroso rispetto. Lo sciabordio delle onde era leggermente percettibile tra il profondo respirare dell’uomo che stava appoggiando all’enorme scrivania di mogano con la testa nascosta tra le braccia. Qualche mozzo, meno esperto, bussava ogni tanto alla porta per ricevere una risposta, qualche ordine, ma il risultato era sempre lo stesso. I veterani, invece, sapevano già e non osavano violare il sacro riserbo del capitano. Nessuno si ricordava realmente quando fossero partiti, una nebbia fitta di ricordi si frastagliava tra al poppa dell’imbarcazione e l’ignoto là davanti che giorno dopo giorno aumentava nell’allontanarsi dall’oblio dal quale salparono. Mesi e mesi o addirittura anni, persi nell’oceano di chissà quale sperduta parte di globo alla ricerca disperata di qualcosa che chissà dove, chissà come, chissà cosa. Quello che solamente aveva un vago senso era la bussola, comune come molte altre ma che non indicava nulla, senza ago e senza quadrante; era una bussola, ma non mostrava né il Nord né il Sud. Ogni tanto capitava di perderla d’occhio per qualche tempo e scompariva letteralmente nel nulla, salvo poi ricomparire qualche giorno dopo in una posto curioso. Un marinaio se la ritrovò nel cesto della biancheria sporca e venne messo a digiuno per l’intera giornata essendo ritenuto  responsabile del furto. Ecco, così scompariva e ricompariva a suo piacere. In un certo senso era Lei a decidere le sorti della navigazione quasi più del Capitano, che non se ne risentiva mai. Si succedevano poi giorni dove un senso di malinconia colpiva l’intera ciurma, senza un motivo preciso, quasi come un virus preso per un’indigestione di gamberi; erano le giornate in cui una sottile melodia aleggiava tra le vele dell’ imbarcazione come a ricordare le vecchie terre natie, come una familiare musica popolare. Quei giorni in cui era piacevole pensare al luogo dove tutti prima o poi ritorniamo, lasciandosi trasportare dal grecale insieme ai pensieri.