Shifting, Very Slowly
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Passò la notte accovacciato, vomitando. Da due settimane ormai stentava quasi a star in piedi, e ora, colpa anche di qualche inevitabile bicchiere di troppo, stava sboccando l’anima. Non che avesse molto cui pensare tra un conato e l’altro, ma si ritrovò a divagare mentre rigettava:  Marek rifletté proprio sulle ultime caotiche settimane al Distretto di polizia. La notizia arrivò carica di enfasi la notte del 7 novembre: un oggetto volante non identificato, al secolo U.f.O, era atterrato, o meglio schiantato al suolo, nella periferia rurale della metropoli. Non che l’evento si potesse considerare una novità  dato che tra alieni, fantasmi, serial killer pluriomicidi e mostri mutanti radioattivi, i cliché si susseguivano in un incessante catena di superstizioni inventate solo per ottenere qualche minuti di attenzione, di ascolto. Popolarità magari, celebrità. Questo era quello che al Distretto era chiamato il “margine della società tra la feccia e il centro urbano”; segnalazioni fasulle, ovviamente, che non ottenevano nemmeno una misera considerazione. Marek odiava profondamente tutta questa perdita di tempo, e il puzzo di vomito rimpolpò il disprezzo. Eppure quella maledetta notte di novembre qualcosa allarmò i poliziotti per la restante parte della serata:  la telefonata rapida, quei suoni sgradevoli ma ipnotici, paranormali. Vento, bufera. Urla.                                                                                                                                                                                        La tentazione di mandar giù una volante giusto per una controllatina veloce fu forte, ma l’orgoglio la vinse. In questa maniera la storia finì nel dimenticatoio del cestino intasato del Distretto tra delitti irrisolti  e stupri non attestati. La criminalità di Broadsest Falham non era la migliore della contea, anzi. Immaginate di respirare profondamente e pensare a tutte quelle storielle che si raccontano sui tre secondi che passano e le conseguenti tre nascite avvenute nell’arco di tre arieggiamenti polmonari. Ogni tre respiri a Broadsest Falham muoiono  invece cinque persone, di cui due probabilmente assassinate;  avvengono forse anche quattro furti tra i  vicoli bui della parte ovest della periferia industriale e innumerevoli rapine: il problema non era trascurabile. Per risolverlo, furono prese scarne misure preventive che rimasero solo vani tentativi per salvare la parvenza di un impegno. O almeno di un interessamento, osavano bofonchiare gli anziani nei pub. Già, un interessamento. Pareva proprio che l’unica a contare davvero fosse l’apparenza;  l’apparenza di agire tempestivamente e l’illusione di porre un ostacolo. Fantasie. Sostanzialmente però, l’economia globale non veniva mai seriamente intaccata dalle falle scavate dal sistema criminale, essendo alla fin della fiera una delle più efficienti  addirittura dell’intero Stato. Così con gli anni era divenuta meta ambita di emigranti in cerca di lavoro. E di alieni.                                                                                                                                          Blourgh.                                                                                                                                                                                                      Pezzi di hamburger surgelato mezzo digerito, comprato al supermercato dietro casa , cucinato al microonde in tre minuti, in tre respiri mentre gente veniva brutalmente uccisa e rapinata. No, la vita di Marek non era niente male. Per lo meno accettabile, vivibile. Aveva scoperto il trucco, ossia non pretendere mai troppo dall’esistenza: un lavoro che non porti velocemente al suicidio, un tetto sulla testa, magari qualche ragazza per scaricarsi e una Tv non ultrapiatta. Il Nirvana dei sensi; il Paradiso della nuova generazione dei disillusi. Un’ancora che affoga nel mare della banalità, un’incudine legata attorno alle caviglie e giù, tra gli abissi dell’anonimato. Bisognava fermarsi per non vomitare anche la bile. Inoltre stava perdendo troppo tempo e mentre tirava per l’ultima volta lo scarico del water, la sveglia suonò beffarda le sette in punto. Orario di sveglia e di colazione, orario per andare al lavoro. Orario di bambini che chiedono imploranti alle madri ancora cinque minuti di dormiveglia, tempo di caffè e coperte tiepide. Non per Marek, non più da due settimane. Sbuffando si alzò da terra reggendosi con il braccio destro all’asse del gabinetto per aprire la finestra del bagno ed assaporare la fresca brezza autunnale. Dacci oggi il nostro caldo smog quotidiano.
Abitava in una di quelle case una appiccicata all’altra, con giusto un piccolo spazio per far sì che un filo d’aria entri nell’appartamento. Un muro in mattoni era tutto il panorama che con un gruzzolo di 200 al mese poteva permettersi:  il muro di mattoni dei vicini  con i loro strilli e con il loro televisore acceso ad un volume improponibile fino alle quattro del mattino. Diciamo che per chi è abituato a peggio, questo era un piccolo Eden coltivabile, con tanto di cantina e  di wc in ceramica, molto pulibile di cui Marek apprezzava l’utilità. Uscì poi da casa sbattendo la porta due volte, poiché alla prima non si chiudeva mai. Sulle scale incontrò la signora Whaleford, imbambolata come al solito tra il terzo ed il secondo piano con quella stupida espressione da pesce palla che rendeva più evidenti le rughe d’espressione d’un tempo. Un tempo in cui c’era qualcosa per cui ridere. Un saluto veloce e via al lavoro, dove una pesante giornata di scartoffie si presentava all’orizzonte.  Questo era il progetto, l’illusione. L’impegno. Marek  non aveva mai sceso le scale quella mattina, e la sveglia non era suonata poiché nessuno l’aveva reimpostata.  In realtà tutto si era cristallizzato esattamente due settimane fa, con quella chiamata e quella concitazione. Con quelle urla. Qualcosa era davvero accaduto, l’attenzione era all’apice. Sembrava che una sorta di coprifuoco invisibile e silenzioso fosse sceso su tutta la grande città, poiché niente e nessuno osò uscir fuori di casa dopo quell’enorme boato che riempì ogni singola abitazione e tutta l’area limitrofa. E al Distretto finalmente si decise per inviare un controllo e monitorare la situazione, in fondo era tutto così strano; Furono scelti in tutto tre uomini e spediti senza troppa voglia a Strempshire Street  87, l’unica strada da cui poi si poteva giungere ai campi sterrati da dove si era capito provenire la chiamata. La volante era guidata con calma da Smith, vice capo burbero e alquanto scontroso, con un fastidioso tic alla bocca. Ogni tanto emetteva un acuto stridio simile ad un fischio causato dalla lingua che sfregava contro le gengive risucchiando la saliva. Squììt. Era soprannominato il “Topo”. Alla sua destra sedeva Finn, agente Finn Reynord. Sicuramente l’unico della ciurma a cercar di far conversazione e rompere quel  silenzio che in realtà disturbava lui soltanto. Né Smith né Marek ne erano turbati, perché sì, l’ultimo uomo che stava rannicchiato nei sedili posteriori fissando le ipnotiche luci della sirena era Marek. Il suo grado non era importante,  I suoi pensieri erano turbati da questo caos silenzioso. I filosofi spesero chissà quali energie per trovare una definizione universale di “alienazione” quando basta uno sguardo a Marek per capire quanto serve: un particolare che soverchia l’universale, una fenomenologia della vita. Una catabasi nella paranoia più profonda estraniata dal comune vivere. Vedi anche: Marek. Quel dannato rosso che insegue il blu, poi il rosso, poi il blu e gli occhi si chiudono in una fessura oscura. Una sgommata e pietruzze che sferragliano tra le ruote della volante lanciata ad una velocità inverosimilmente bassa lo risvegliarono dal viaggio. Erano arrivati, così disse il Topo.  Poi non successe più nulla, o almeno niente che accadde per davvero. Chissà per quale ragione tutto ruotava attorno alla mente di Marek come piccoli pesci rossi in una boccia troppo grande. Come in un sogno. Un incubo. Fu una serie di eventi non precisabili, tanti fotogrammi di un film senza trama: qualcosa colpì in pieno petto Finn quando questo tentò di avvicinarsi a bocca aperta all’enorme poliedrico scatolone fosforescente in mezzo al deserto. In mezzo al nulla.
L’impressione che Marek ne ebbe fu quella di un lampione sperduto in mezzo ad una strada di montagna, dove l’utilità è scarsa. Dove la solitudine è alta. E Finn giaceva a terra, implorante qualcosa che di importanza non ne aveva: cosa fosse l’importanza, così decantata, in realtà Marek non lo sapeva. Non sapeva più niente. Il rosso, poi il blu, poi il rosso. Un lampo in pieno petto e Finn a terra. SI ricordò di quelle piccole macchine fotografiche con immagini pre-impostate  per i bambini, quando da piccolo amava far finta di fotografare la topaia in cui viveva con la madre vedova e ritrovarsi poi nell’obiettivo immense praterie fiorite. Sconfinate libertà.              Smith cercò di richiamarlo alla realtà, o almeno quello si dice esser la realtà. Poi, ignorato, fuggì da solo in tutta fretta con la volante abbandonandolo in mezzo al nulla, con una libertà che assomigliava per certi versi alle praterie sognate da bambino. Scappava veramente in fretta e il puntino rosso, poi blu, poi rosso diventò sempre più piccolo fino a quando il buio scese su Marek seduto di fronte allo scatolone luminoso, al lampione sperduto in una stradina di montagna. Isolato da tutto, ma non si sentiva solo. Alienato da tutto, ma aveva di fronte alieni più alienati. Luci gialle, ora blu, ora pervinca, ora ecru, ora bistro, ora bianco rame, In un matrimonio onirico di colori. Una porta prima tutto ad un tratto inesistente si aprì. Quello che Marek vide in quella fredda notte di novembre non l’ha mai raccontato. Forse vide per la prima volta la verità,l’importanza e la realtà: tutto ciò che non aveva conosciuto. Forse un sorriso increspò le sue labbra ciniche quando, alzandosi stancamente, si avvicinò soddisfatto allo scatolone.                                                                         Allontanandosi dalla vita in cui ci si accontenta solamente.                                                                                      Diventando un qualcosa di reale.                                                                                                                                              Diventando  lui stesso  colore.