giovedì 19 gennaio 2012
Wasted Time
"Lovin' in the shadows like you got no name.Kings Of Leon |
Arianne stava
seduta sopra una cassapanca molto scomoda. La stanza era celata in gran parte
nell’oscurità, con qualche bagliore rosso intenso negli angoli più nascosti e
decorazioni di pizzo che penzolavano dai tre grossi lampadari semi-spenti. Un odore di latte andato a male si diffondeva per tutto
l’ambiente, ma ormai lei non ci faceva più caso, ne era semplicemente abituata,
o forse assuefatta, non l’aveva ancora capito e CAPIRE probabilmente non le era
concesso. Tentò di alzarsi, ma un crampo la colpì di soppiatto costringendola a
sdraiarsi di nuovo e ad osservare un vecchio poster attaccato al soffitto. Le
venne in mente del giorno in cui lo appese lì dove ora poteva osservarlo; era
così piccola ai quei tempi ed ancora così ingenua … Rappresentava una sbiadita
città in cui ogni volto che si potesse scorgere era semplicemente radioso, più
del sole che alto brillava dominando tutto. Le parve ridicolo lo sfuggente
pensiero che si potesse trattare di una vecchia pubblicità turistica della
città in cui ora si trovava. Arianne ha sempre adorato le illusioni e
l’illudersi in generale. Era per quello, in fondo, se si ritrovava ad osservare
quel dannato poster che fu il suo biglietto aereo per l’inferno. La convinse
proprio quel sogno a lasciare tutto e partire verso ciò che non conosceva, se
non nella sua immaginazione. Prese giusto le cose necessarie e scappò di casa.
Nello zainetto rosa qualche biancheria intima di ricambio, alcuni dei suoi
giocattoli preferiti e Robbie, la sua bambola. Cose necessarie, sì, ma per una
bambina di dieci anni, come lei. E’ forse impensabile un viaggio così lungo per
appena una bambina? Basta giusto qualche cambio di bus azzeccato e qualche
piccola tratta in treno e tutto si sistema, ancor di più se si usa come scusa
il dover prendere questi mezzi per ritornare dai genitori e il biglietto vuoi
che non te lo regalino? Sei una bambina, stai attenta e via. Arianne però si
sentiva sola ora. Negli occhi aveva ancora tutte le immagini del suo viaggio.
Tutte quelle persone che la guardavano con indifferenza o nel peggiore dei casi
con disprezzo, e poi quello strano signore che accanto a lei nel vagone vuoto
la accarezzava sorridendo in modo così strano …
Arianne
infine arrivò a destinazione, in qualche modo. Con il viso lucido per le
lacrime che si erano asciugate da poco ed un po’ spaesata, ma arrivò. Si
accorse troppo tardi di aver dimenticato lo zainetto nel vagone, ma ormai non
ne aveva più bisogno. Si sentiva sporca e grande ormai, i giocattoli non
servivano più. Ma Robbie, sì. Robbie le
mancava tanto. E disperata cercò di raggiungere di nuovo il treno che però
stava già partendo per sfrecciare dove lei non sarebbe mai più ritornata. E così
perse tutto. In tasca si ritrovò giusto
gli spiccioli necessari per una cena, ma
il distributore di caramelle la allentò tanto in fretta che nemmeno il diavolo si sarebbe
potuto vantare di una così potente tentazione malvagia. Masticava la sua cicca alla
ciliegia seduta sopra una panchina della stazione, un po’ in disparte perché
aveva paura. E si addormentò. Non si accorse più di nulla, ed anche ora – nel
letto della stanza buia dove stava sognando anche lì- le immagini le si
presentarono confuse e fece fatica a capire quello che successe dopo. Si
ricordò solo di Travis; Egli che allora era solo un uomo come tanti, con un
largo cappello sulla testa calato in basso sugli occhi e degli stivali in pelle
molto vistosi; Egli che allora non era nessuno, ancora per poco. Poi divenne il
suo mondo, l’esistenza in tutto per tutto, ciò che la salvò; o almeno così
pensò fino a quando non capì la sua maledizione. Sta di fatto che fu lui a
salvarla da un’esistenza passata su di una panchina nella stazione cibandosi di
caramelle, portandosela via con sé. Quello che successe dopo, Arianne faticava
a ricordarlo. Il cervello spesso cancella autonomamente i ricordi negativi
della nostra vita, sostituendoli con altri, ed è per questo che ora riusciva a
ricordarsi solo dei mille regali che Travis le fece. Si dimenticò però dell’unico regalo che Travis chiedeva in
cambio ogni notte. Poi le cose peggiorarono, quando a riscuotere il solito
regalo non venne solo Travis, ma molti altri uomini, con strani desideri e con
la bava alla bocca: Arianne era diventata proprio una bella ragazza. Fu così
che Travis le regalò anche l’appartamento in cui ora si trovava, casa dolce
casa. Giusto per sentirsi un po’ in tranquillità nel svolgere il suo compito,
al quale era abituata, o assuefatta, anche questo ancora non lo capiva. Arianne stava sdraiata per i dolori al ventre,
pensando a tutto questo ma intanto non pensando a nulla, poiché ricordarselo le
faceva più male che tutti i dolori corporali che avesse provato in tutti quegli
anni con Travis e i suoi amici bavosi. Odiava tutto ma insieme era grata a
questo: senza come sarebbe andata? E’ una triste maledizione quella della
dipendenza, lega la vittima indissolubilmente al carnefice, senza che questo si
accorga lentamente di morire. Arianne era completamente dipendente da Travis,
seppur non se ne accorgesse o tentasse tutto per non crederci. Lei era Lui,
senza però che lui dovesse esser lei, era una maledizione unilaterale, la sua.
Travis poteva andare con chiunque volesse, senza dover render conto ad Arianne
che rimaneva chiusa in casa con i suoi sogni a farle compagnia. Stava
lentamente impazzendo e se accorgeva da ciò che sognava, che sempre più spesso
diventava ciò che viveva, confondendosi con la realtà. Cercò di alzarsi ancora,
ma non ci riuscì. Era come se fosse legata a quella stanza e a quel luogo.
Travis era morto ormai da due anni, ma lei non accettò ancora la cosa. Gli
amici di Travis però arrivavano ancora, lasciando Arianne libera di sognare un
futuro libera da quella maledizione che era diventata la sua condanna. Lei e i
suoi sogni, nell’oscurità ansimante della sua stanza.
Qualche
goccia di pioggia scivolava sul vetro della finestra della camera, ricalcando
perfettamente la lunghezza della guancia di Arianne che intanto vi si
specchiava; questo le fece pensare se anche i vetri fossero in grado di
piangere. Si accorse anche che non stava semplicemente piovendo: diluviava come
non mai, e nella sera che era già scesa sui tetti delle case, la luna
illuminava qualche imposta chiusa male, cogliendola a sbattere forte contro ad
un muro; una di queste era proprio di Arianne, ma era troppo occupata ad
accostare la porta dietro a Dutch, l’ultimo amico della giornata. Aveva
terminato anche per oggi, e si sentiva stanca. Stanca dentro. Con le ultime
forze che le rimasero spense le candele sulla mensola sopra al letto: erano
quasi del tutto consumate e ormai ne rimanevano solo gli stoppini. Una luce flebile
rischiarava fin sulle tempie, illuminando qualche livido violaceo. Quello che
le faceva più male però era dentro a quella testa: pensava ancora a Travis.
Sorrise, ma era un sorriso amaro il suo e si confuse con l’atmosfera calma e
sinistra dell’ appartamento. Non aveva notizie della sua famiglia da quanto
ormai? Ricordarlo le fece provare un tuffo al cuore; in realtà essi non la
cercarono mai da quando quel giorno la loro bambina fuggì di casa. Un rapimento
o un regolamento di conti, tra gli zingari funziona così. Un’immensa pena per
qualche settimana e poi la rassegnazione, che regnò su quella famiglia orfana
di Arianne fino alla fine. La ragazza
cercava di immaginarsi quasi ogni giorno come sarebbe potuta andare in una vita
parallela, ma si ritrovava sempre tra le braccia di Travis, era una condanna.
Col tempo smise di pensare alla famiglia da cui era lontana troppe miglia e
decisamente troppe sofferenze. Non c’era nulla che rendesse la sua vita degna
di esser vissuta, ma una sorta di filo invisibile pareva trattenerla fuori da
gesti sconsiderati. Il filo quella sera si bruciò con l’ultima fiammata della
candela che spense Arianne, lasciandola libera, più di quanto non avesse voluto
in realtà esserlo. Ricordi confusi e rapidi le avvelenarono la vista offuscando
per qualche minuto la sua volontà, facendola sprofondare in una crisi violenta:
Arianne soffriva di epilessia. Dei fremiti riempirono tutto il suo corpo;
partivano dalle braccia per arrivare fino alla punta dei piccoli piedi con lo
smalto scolorito scuotendo la ragazza sopra il letto dalle lenzuola sfatte. Carte
di preservativi usati si mischiarono a dei rossetti e a delle bambole svestite
per terra, quando le braccia di Arianne urtarono involontariamente contro il
comodino. La crisi proseguiva nel somministrare la dose giusta di dolore alla
ragazza, non capendo di star esagerando. La sofferenza era inimmaginabile. Senza
fretta l’attacco infine passò di colpo proprio come era arrivato, strisciando
sotto la porta dell’inaspettato. Arianne giaceva quasi esanime con il respiro
spezzato e gli occhi rossi, era al culmine della sopportazione.
<<Tr..Travis…>> fu
tutto quello che riuscì a dire e soprattutto furono le sue ultime parole. Si
ritrovò faccia a faccia con la luna che pareva in pena per lei. La luna ha
sempre un’espressione malinconica e triste sul suo volto, ma in quel momento
sembrava che piangesse davvero. Arianne si alzò, stremata per tutto e non
capendo bene cosa fosse giusto o sbagliato. La luna la chiamava a sé promettendole
la libertà. La finestra era aperta e la mente della ragazza calcolò la distanza
tra lei e quella promessa: Tre piani, solamente tre dannati piani per finirla.
La luna brillava forte mentre Arianne si alzò in piedi sul cornicione. Il vento
le accarezzò i capelli amorevolmente, poi scivolò giù, ma con grazia. La
durezza della sua vita non le aveva mai fatto perdere la dolcezza che
conservava da quando era una bambina, lì dove nessuno poteva toccarla. Nella
mente arrivò il buio e le sirene dell’ambulanza risuonarono nella notte.
Nell’appartamento furono ritrovati solo pochi oggetti personali ed un articolo
di giornale ritagliato male ai lati, del giorno prima. La luna sorrideva.