"Lovin' in the shadows like you got no name.
Enough to make a little girl go insane"      
 Kings Of Leon

Arianne stava seduta sopra una cassapanca molto scomoda. La stanza era celata in gran parte nell’oscurità, con qualche bagliore rosso intenso negli angoli più nascosti e decorazioni di pizzo che penzolavano dai tre grossi lampadari semi-spenti.  Un odore di  latte andato a male si diffondeva per tutto l’ambiente, ma ormai lei non ci faceva più caso, ne era semplicemente abituata, o forse assuefatta, non l’aveva ancora capito e CAPIRE probabilmente non le era concesso. Tentò di alzarsi, ma un crampo la colpì di soppiatto costringendola a sdraiarsi di nuovo e ad osservare un vecchio poster attaccato al soffitto. Le venne in mente del giorno in cui lo appese lì dove ora poteva osservarlo; era così piccola ai quei tempi ed ancora così ingenua … Rappresentava una sbiadita città in cui ogni volto che si potesse scorgere era semplicemente radioso, più del sole che alto brillava dominando tutto. Le parve ridicolo lo sfuggente pensiero che si potesse trattare di una vecchia pubblicità turistica della città in cui ora si trovava. Arianne ha sempre adorato le illusioni e l’illudersi in generale. Era per quello, in fondo, se si ritrovava ad osservare quel dannato poster che fu il suo biglietto aereo per l’inferno. La convinse proprio quel sogno a lasciare tutto e partire verso ciò che non conosceva, se non nella sua immaginazione. Prese giusto le cose necessarie e scappò di casa. Nello zainetto rosa qualche biancheria intima di ricambio, alcuni dei suoi giocattoli preferiti e Robbie, la sua bambola. Cose necessarie, sì, ma per una bambina di dieci anni, come lei. E’ forse impensabile un viaggio così lungo per appena una bambina? Basta giusto qualche cambio di bus azzeccato e qualche piccola tratta in treno e tutto si sistema, ancor di più se si usa come scusa il dover prendere questi mezzi per ritornare dai genitori e il biglietto vuoi che non te lo regalino? Sei una bambina, stai attenta e via. Arianne però si sentiva sola ora. Negli occhi aveva ancora tutte le immagini del suo viaggio. Tutte quelle persone che la guardavano con indifferenza o nel peggiore dei casi con disprezzo, e poi quello strano signore che accanto a lei nel vagone vuoto la accarezzava sorridendo in modo così strano … 

Arianne infine arrivò a destinazione, in qualche modo. Con il viso lucido per le lacrime che si erano asciugate da poco ed un po’ spaesata, ma arrivò. Si accorse troppo tardi di aver dimenticato lo zainetto nel vagone, ma ormai non ne aveva più bisogno. Si sentiva sporca e grande ormai, i giocattoli non servivano più. Ma Robbie, sì.  Robbie le mancava tanto. E disperata cercò di raggiungere di nuovo il treno che però stava già partendo per sfrecciare dove lei non sarebbe mai più ritornata. E così perse tutto.  In tasca si ritrovò giusto gli spiccioli necessari  per una cena, ma il distributore di caramelle la allentò tanto  in fretta che nemmeno il diavolo si sarebbe potuto vantare di una così potente tentazione malvagia. Masticava la sua cicca alla ciliegia seduta sopra una panchina della stazione, un po’ in disparte perché aveva paura. E si addormentò. Non si accorse più di nulla, ed anche ora – nel letto della stanza buia dove stava sognando anche lì- le immagini le si presentarono confuse e fece fatica a capire quello che successe dopo. Si ricordò solo di Travis; Egli che allora era solo un uomo come tanti, con un largo cappello sulla testa calato in basso sugli occhi e degli stivali in pelle molto vistosi; Egli che allora non era nessuno, ancora per poco. Poi divenne il suo mondo, l’esistenza in tutto per tutto, ciò che la salvò; o almeno così pensò fino a quando non capì la sua maledizione. Sta di fatto che fu lui a salvarla da un’esistenza passata su di una panchina nella stazione cibandosi di caramelle, portandosela via con sé. Quello che successe dopo, Arianne faticava a ricordarlo. Il cervello spesso cancella autonomamente i ricordi negativi della nostra vita, sostituendoli con altri, ed è per questo che ora riusciva a ricordarsi solo dei mille regali che Travis le fece. Si dimenticò  però dell’unico regalo che Travis chiedeva in cambio ogni notte. Poi le cose peggiorarono, quando a riscuotere il solito regalo non venne solo Travis, ma molti altri uomini, con strani desideri e con la bava alla bocca: Arianne era diventata proprio una bella ragazza. Fu così che Travis le regalò anche l’appartamento in cui ora si trovava, casa dolce casa. Giusto per sentirsi un po’ in tranquillità nel svolgere il suo compito, al quale era abituata, o assuefatta, anche questo ancora non lo capiva.  Arianne stava sdraiata per i dolori al ventre, pensando a tutto questo ma intanto non pensando a nulla, poiché ricordarselo le faceva più male che tutti i dolori corporali che avesse provato in tutti quegli anni con Travis e i suoi amici bavosi. Odiava tutto ma insieme era grata a questo: senza come sarebbe andata? E’ una triste maledizione quella della dipendenza, lega la vittima indissolubilmente al carnefice, senza che questo si accorga lentamente di morire. Arianne era completamente dipendente da Travis, seppur non se ne accorgesse o tentasse tutto per non crederci. Lei era Lui, senza però che lui dovesse esser lei, era una maledizione unilaterale, la sua. Travis poteva andare con chiunque volesse, senza dover render conto ad Arianne che rimaneva chiusa in casa con i suoi sogni a farle compagnia. Stava lentamente impazzendo e se accorgeva da ciò che sognava, che sempre più spesso diventava ciò che viveva, confondendosi con la realtà. Cercò di alzarsi ancora, ma non ci riuscì. Era come se fosse legata a quella stanza e a quel luogo. Travis era morto ormai da due anni, ma lei non accettò ancora la cosa. Gli amici di Travis però arrivavano ancora, lasciando Arianne libera di sognare un futuro libera da quella maledizione che era diventata la sua condanna. Lei e i suoi sogni, nell’oscurità ansimante della sua stanza.
Qualche goccia di pioggia scivolava sul vetro della finestra della camera, ricalcando perfettamente la lunghezza della guancia di Arianne che intanto vi si specchiava; questo le fece pensare se anche i vetri fossero in grado di piangere. Si accorse anche che non stava semplicemente piovendo: diluviava come non mai, e nella sera che era già scesa sui tetti delle case, la luna illuminava qualche imposta chiusa male, cogliendola a sbattere forte contro ad un muro; una di queste era proprio di Arianne, ma era troppo occupata ad accostare la porta dietro a Dutch, l’ultimo amico della giornata. Aveva terminato anche per oggi, e si sentiva stanca. Stanca dentro. Con le ultime forze che le rimasero spense le candele sulla mensola sopra al letto: erano quasi del tutto consumate e ormai ne rimanevano solo gli stoppini. Una luce flebile rischiarava fin sulle tempie, illuminando qualche livido violaceo. Quello che le faceva più male però era dentro a quella testa: pensava ancora a Travis. Sorrise, ma era un sorriso amaro il suo e si confuse con l’atmosfera calma e sinistra dell’ appartamento. Non aveva notizie della sua famiglia da quanto ormai? Ricordarlo le fece provare un tuffo al cuore; in realtà essi non la cercarono mai da quando quel giorno la loro bambina fuggì di casa. Un rapimento o un regolamento di conti, tra gli zingari funziona così. Un’immensa pena per qualche settimana e poi la rassegnazione, che regnò su quella famiglia orfana di Arianne fino alla fine.  La ragazza cercava di immaginarsi quasi ogni giorno come sarebbe potuta andare in una vita parallela, ma si ritrovava sempre tra le braccia di Travis, era una condanna. Col tempo smise di pensare alla famiglia da cui era lontana troppe miglia e decisamente troppe sofferenze. Non c’era nulla che rendesse la sua vita degna di esser vissuta, ma una sorta di filo invisibile pareva trattenerla fuori da gesti sconsiderati. Il filo quella sera si bruciò con l’ultima fiammata della candela che spense Arianne, lasciandola libera, più di quanto non avesse voluto in realtà esserlo. Ricordi confusi e rapidi le avvelenarono la vista offuscando per qualche minuto la sua volontà, facendola sprofondare in una crisi violenta: Arianne soffriva di epilessia. Dei fremiti riempirono tutto il suo corpo; partivano dalle braccia per arrivare fino alla punta dei piccoli piedi con lo smalto scolorito scuotendo la ragazza sopra il letto dalle lenzuola sfatte. Carte di preservativi usati si mischiarono a dei rossetti e a delle bambole svestite per terra, quando le braccia di Arianne urtarono involontariamente contro il comodino. La crisi proseguiva nel somministrare la dose giusta di dolore alla ragazza, non capendo di star esagerando. La sofferenza era inimmaginabile. Senza fretta l’attacco infine passò di colpo proprio come era arrivato, strisciando sotto la porta dell’inaspettato. Arianne giaceva quasi esanime con il respiro spezzato e gli occhi rossi, era al culmine della sopportazione.                                                                                                <<Tr..Travis…>> fu tutto quello che riuscì a dire e soprattutto furono le sue ultime parole. Si ritrovò faccia a faccia con la luna che pareva in pena per lei. La luna ha sempre un’espressione malinconica e triste sul suo volto, ma in quel momento sembrava che piangesse davvero. Arianne si alzò, stremata per tutto e non capendo bene cosa fosse giusto o sbagliato. La luna la chiamava a sé promettendole la libertà. La finestra era aperta e la mente della ragazza calcolò la distanza tra lei e quella promessa: Tre piani, solamente tre dannati piani per finirla. La luna brillava forte mentre Arianne si alzò in piedi sul cornicione. Il vento le accarezzò i capelli amorevolmente, poi scivolò giù, ma con grazia. La durezza della sua vita non le aveva mai fatto perdere la dolcezza che conservava da quando era una bambina, lì dove nessuno poteva toccarla. Nella mente arrivò il buio e le sirene dell’ambulanza risuonarono nella notte. Nell’appartamento furono ritrovati solo pochi oggetti personali ed un articolo di giornale ritagliato male ai lati, del giorno prima. La luna sorrideva.