sabato 28 gennaio 2012

Genio di Velluto

Blue Velvet
Il genio di cui voglio parlare è pigro. Egli è un poeta, ama la poesia e la scienza. Ama il mondo. Tutto ciò che di bello illumina la vita, nei suoi occhi risplende di innovazione. Il suo animo, abituato a scrutare ben oltre ciò che chiunque potrebbe capire, si stupisce soprattutto per quello che gli altri non vedono. Non lo affascina la termodinamica nè la fisica quantistica. E’ la semplicità che lo cattura: il fascino di un’alba, la fine di un tramonto. Nella sua ingenua genialità rintraccia orme di sensazioni comuni, prive di particolarità ma grandi nel loro linguaggio svincolato dalle parole. Sa che spesso le chiacchiere possono rovinare la bellezza di un momento quando l’amore non ha parole. Il mio genio è innamorato. Il suo è un amore trascendente e quando la situazione lo richiede, egoista: E’ geloso di tutto quello per cui è troppo geniale per accorgersi, è amareggiato per le scoperte che prenderanno il suo nome. A volte poi, tra un’invenzione e l’altra, medita su quei processi infiniti e ignoti che muovono la Natura, governata forse da qualcuno che neppure lui potrà mai conoscere. Non è ateo nè  fedele: crede nel mondo e odia le differenze, odia il razzismo. Non apprezza tutto ciò che crea dissidi ed è poliedrico. Coltiva amicizie semplici come un buon bicchiere di vino, ma con radici profonde per assaporare da buon enologo la chimica dei rapporti. Conosce ogni singola costellazione pur non privandosi del piacere dell’ignoto giacendo sotto il cielo la notte.Ad ogni stella cadente esprime un desiderio: E’ un bambino con neuroni sinaptici da genio. Eppure, tra fantasia e intelligenza, niente lo accoglie accanto a sè: egli è solo, ma non solitario. Ama la gente. Immaginandosi una cerchia di persone che si stringono attorno a lui s’addormenta la notte come abbracciando un peluche. Il genere umano non è pronto per poter amare un personaggio così. Addormentandosi, fugge dalla Terra troppo immatura per apprezzare la semplice genialità. Nessun nobel s’annovererà mai tra i premi dell’uomo che ora lascia il Pianeta mentre tutto svanisce velocemente con morbidezza di velluto. “Velluto blu”. Così il mio genio è pigro poichè non è ancora nato, ma aspetta di poter tornare davvero e amare di nuovo il Mondo, tutto, intero.
venerdì 27 gennaio 2012

Pittore in un vicolo

Ritratto d'ombra in un flash di bagliori,
macchia sporca di candeggina e umori:
vita pallida e scura nel chiaroscuro d'un paesaggio.
Pittura fresca di amore ed intenzioni,
dove il più luminoso raggio
dal sole illumina i passati rancori.

Un artista piange in un vicolo scuro,
con il volto della tristezza creata nascosto contro un muro
fino a trasmettere la felicità alla sue creature
nate da lui, e da lui iniziate a gioire.

Dai colori nasce solo il nero
e dall'arte spesso il dolore più vero,
ma senza sapremmo cosa sia veramente ciò che chiamiamo bello?






Frida Kahlo
giovedì 26 gennaio 2012

"Mi serve solo un istante"

La persistenza della memoria. Salvador Dalì







Quando cambiano i fusi orari?
Che cosa mai si respirerà poi
tra il futuro e il passato?


Magari i sospiri, i sorrisi
smarriti nel giorno prima.


O forse nulla, come oggi
che è sia ieri sia domani,
senza novità e senza che la vita abbia una rima.


Se si potesse solamente sapere:
"ciò che perdiamo lo ritroveremo
prima o poi".


Prima lo perdiamo e poi lo ritroviamo.


Questo, però, nessuno lo pensa
ed io ho bisogno che qualcuno mi dica
c'è tempo per vivere domani.
mercoledì 25 gennaio 2012

Postcard From Far Away


                    Ricevetti una cartolina da molto lontano;

Profumava di spiagge assolate e solitarie.

Sporca d'inchiostro rosso
Ai lati consunta e pallida per la salsedine.
Calmo, la lessi.
Immagini esotiche e irreali, nei miei occhi,
scroscio di onde e gabbiani felici.
Molto, molto lontano.




"So damn far away..."

lunedì 23 gennaio 2012

L'ultimo Idillio ( Leopardi Remix)

"Jack" Leopardi
Mai più pace
nella profonda speranza
di viver nella Natura.
Forse un fiore,
ov'ei men teme
a pargoleggiar si trova
nel romito viaggio;
egli che solo del viver
non disprezza la vanità.

Se dei cari inganni,
un giorno, fra tutti 
il più ascoso, chiaro dì,
volgendomi indietro
per l'ultima volta
una cortese speranza
avvolgerà il cor,
non val nulla il soffrir
e dei sospiri il patir.

Ti faccia felice il sogno,
delle illusioni la madre,
ma non chiedere se degna
la morte vale quanto
un bacio nel dormir.
Viviamo per morire e 

della gioia non rimembro l'inizio.

domenica 22 gennaio 2012

Foglie di thè danzanti ( Lettera a nessuno)



Giocherellando con fare distaccato, credo che combinerei  varie possibilità per creare quello che nessuno mai penserebbe. Uno dei vantaggi dell' essere il Creatore è quello di aver la novità dalla propria parte. Creare una moda, creare un trend. Essere per una volta lo stilista, non un inutile manichino. Così, creando abiti su mia misura e scegliendo di scegliere, confinerei la mia libertà all'interno di un attimo fuggevole, e per questo eterno. Sapendo di aver nella mia tasca l'immortalità, benedetta come un fazzoletto durante un raffreddore, chi potrebbe mai scalfirmi? I virus non mi lambiscono, l'odio non mi distrugge: la spiritualità dell'anima vince ciascun disprezzo contingente e necessario. Necessario come l'amore, una laurea, la morte. Forse dimentico qualcosa, ma dato che sono io il primo a compiere delle azioni, decido che non esiste l'oblio e non esiste il compiere e non esistono le azioni. Esisto Io. Poi, quando sarò abbastanza stanco del compiacermi e delle infinitè scelte che s'annoverano tra le alternative dell'universo, avrò un amico: qualcuno che mi apprezzi al posto mio.  Qualcuno che sappia ciò che amo sentirmi dire, che mi prenda in considerazione nel momento del bisogno. Qualcuno per cui essere una droga. Essere una dipendenza reciproca. E restare in ascolto senza l'obbligo di agire, credendo che si possa far a meno di me per recuperare quell'istante di disperazione e di solitudine che non ho sentito mai. Non ho inventato la solitudine, ma ne provo lo stesso il brivido come in un atto illegale. Un giorno tutti sapranno le regole del gioco e  alcuni riterranno addirittura di aver scoperto il trucco; la verità è che le regole le gestisco io e non vi è illusione maggiore che quella per cui perdersi nella superbia. Il problema è che tutti sanno chi incolpare per la propria angoscia, per la propria incompletezza costitutiva esistenziale, Io no. Io potrei insultare solamente le mie mani manipolatrici e generatrici, senza sapere con chi prendermela davvero. Io non conosco la solitudine, ma ne provo ora il brivido come in una fustigazione lenta. Magari se il mio cuore, sbucato dal nulla, non fosse così malato da temere il peso delle responsabilità, avrei già una generazione di amici a cui tendere le mie maledette mani. Probabilmente il mio velo si sarebbe sguarciato se l'unica realtà avesse deciso di darmi delle spiegazioni. Di spiegarmi il perchè di tutto questo, di illuminarmi sul perchè Io. Cos'avrà mai di tanto speciale il poter vantarsi di una libertà che pare costituita soltando da una Provvidenza e da un Destino inconciliabili? Perchè non posso avere mai la consapevolezza di fare qualcosa per me stesso? Non ho inventato l'egoismo, ma ne provo il fremito come in un incubo incurabile. E se razionalmente mi ritovo a dover far i conti con qualcos'altro, posso dire di essere qualcosa che esiste?  Se non avessi generato il vento ora mi sentirei solo, anche se la solitudine non esiste. Anche se l'amore è assente. E come una danzatrice orientale, magica come Salomè, mi lascerei trasportare dalle foglie che s'alzano leggere dal mio primo esperimento. Non è così male, la Terra. Bel nome, poi. Non ho mai inventato la soddisfazione, ma ne provo le scintille come in un temporale d'estate.
venerdì 20 gennaio 2012

We all go back to where we belong (?)


Nello studio del capitano  tutto taceva con un rigoroso rispetto. Lo sciabordio delle onde era leggermente percettibile tra il profondo respirare dell’uomo che stava appoggiando all’enorme scrivania di mogano con la testa nascosta tra le braccia. Qualche mozzo, meno esperto, bussava ogni tanto alla porta per ricevere una risposta, qualche ordine, ma il risultato era sempre lo stesso. I veterani, invece, sapevano già e non osavano violare il sacro riserbo del capitano. Nessuno si ricordava realmente quando fossero partiti, una nebbia fitta di ricordi si frastagliava tra al poppa dell’imbarcazione e l’ignoto là davanti che giorno dopo giorno aumentava nell’allontanarsi dall’oblio dal quale salparono. Mesi e mesi o addirittura anni, persi nell’oceano di chissà quale sperduta parte di globo alla ricerca disperata di qualcosa che chissà dove, chissà come, chissà cosa. Quello che solamente aveva un vago senso era la bussola, comune come molte altre ma che non indicava nulla, senza ago e senza quadrante; era una bussola, ma non mostrava né il Nord né il Sud. Ogni tanto capitava di perderla d’occhio per qualche tempo e scompariva letteralmente nel nulla, salvo poi ricomparire qualche giorno dopo in una posto curioso. Un marinaio se la ritrovò nel cesto della biancheria sporca e venne messo a digiuno per l’intera giornata essendo ritenuto  responsabile del furto. Ecco, così scompariva e ricompariva a suo piacere. In un certo senso era Lei a decidere le sorti della navigazione quasi più del Capitano, che non se ne risentiva mai. Si succedevano poi giorni dove un senso di malinconia colpiva l’intera ciurma, senza un motivo preciso, quasi come un virus preso per un’indigestione di gamberi; erano le giornate in cui una sottile melodia aleggiava tra le vele dell’ imbarcazione come a ricordare le vecchie terre natie, come una familiare musica popolare. Quei giorni in cui era piacevole pensare al luogo dove tutti prima o poi ritorniamo, lasciandosi trasportare dal grecale insieme ai pensieri.
                                                                                                                                                                                                   
giovedì 19 gennaio 2012

Wasted Time


"Lovin' in the shadows like you got no name.
Enough to make a little girl go insane"      
 Kings Of Leon

Arianne stava seduta sopra una cassapanca molto scomoda. La stanza era celata in gran parte nell’oscurità, con qualche bagliore rosso intenso negli angoli più nascosti e decorazioni di pizzo che penzolavano dai tre grossi lampadari semi-spenti.  Un odore di  latte andato a male si diffondeva per tutto l’ambiente, ma ormai lei non ci faceva più caso, ne era semplicemente abituata, o forse assuefatta, non l’aveva ancora capito e CAPIRE probabilmente non le era concesso. Tentò di alzarsi, ma un crampo la colpì di soppiatto costringendola a sdraiarsi di nuovo e ad osservare un vecchio poster attaccato al soffitto. Le venne in mente del giorno in cui lo appese lì dove ora poteva osservarlo; era così piccola ai quei tempi ed ancora così ingenua … Rappresentava una sbiadita città in cui ogni volto che si potesse scorgere era semplicemente radioso, più del sole che alto brillava dominando tutto. Le parve ridicolo lo sfuggente pensiero che si potesse trattare di una vecchia pubblicità turistica della città in cui ora si trovava. Arianne ha sempre adorato le illusioni e l’illudersi in generale. Era per quello, in fondo, se si ritrovava ad osservare quel dannato poster che fu il suo biglietto aereo per l’inferno. La convinse proprio quel sogno a lasciare tutto e partire verso ciò che non conosceva, se non nella sua immaginazione. Prese giusto le cose necessarie e scappò di casa. Nello zainetto rosa qualche biancheria intima di ricambio, alcuni dei suoi giocattoli preferiti e Robbie, la sua bambola. Cose necessarie, sì, ma per una bambina di dieci anni, come lei. E’ forse impensabile un viaggio così lungo per appena una bambina? Basta giusto qualche cambio di bus azzeccato e qualche piccola tratta in treno e tutto si sistema, ancor di più se si usa come scusa il dover prendere questi mezzi per ritornare dai genitori e il biglietto vuoi che non te lo regalino? Sei una bambina, stai attenta e via. Arianne però si sentiva sola ora. Negli occhi aveva ancora tutte le immagini del suo viaggio. Tutte quelle persone che la guardavano con indifferenza o nel peggiore dei casi con disprezzo, e poi quello strano signore che accanto a lei nel vagone vuoto la accarezzava sorridendo in modo così strano … 
mercoledì 18 gennaio 2012

Dalle Radici


Uno pensa di poter esser libero quanto può.
La libertà si crea, la libertà ci crea. 



Vaghi sentori primaverili riempivano l’aria immergendo ogni cosa in un profumato abbraccio di Maggio. Sbocciati i fiori più variopinti, non restò nulla alla Natura se non godere dei frutti estasianti, frutto della sua fertilità; e così fece pure un ciliegio in fiore, sbocciato in mezzo ad un prato tagliato male e pieno di gentili ricordi di scatolette per cani. Esso si alzava placido sopra il resto, vegliando amorevolmente sulle sue limitrofe vicinanze imperfette, sconfinando in un lungo gesto di apertura alare verso il cielo, perché sì, quello che più desiderava era fuggire da quel posto.
martedì 17 gennaio 2012

Rondini Nel Cielo

Ma il passato tormenta più
chi non sa pensar che al futuro,
senza ritener ciò che fu
un possedimento sicuro nella vita.
Nessuna verità assoluta,
si vive al limite della saggezza,
Rondini che sfrecciano sul pelo d'acqua
dimenticando di aprir le ali
per volare nel presente, salvarsi.
Si viaggia ignari
del fucile che punta impassibile:
il cacciatore gusta l'arrivo di
noi, prede di uno stormo di sognatori.

By iopenso, ewriters.


lunedì 16 gennaio 2012

Dipinto ( "Tra un fiore colto e l'altro donato")


Quel sorriso familiare
nel ricordo,
18-07-09
lo cercai ancor prima
di amarlo lì,
sulle tue piccole labbra.
Ansiosamente
lo rubai alla sua cornice
per disegnare
nel vecchio bianco e nero del mio cuore,
paesaggi fantastici
dove insieme
creiamo colori mai visti,
tra sfumature di emozioni
e riflessi di passioni consumate.
domenica 15 gennaio 2012

Anche Omero non conosceva la storia


Disperazione - Munch
Prenderò una tazza di quella squisita limonata che vedo sulla scrivania, giusto per rilassarmi un po’. Le dispiace se appoggio i piedi sulla sedia? Sa, è tutto organizzato in me: la comodità prima di tutto. Ora, so per quale ragione mi ha chiamato  qui e sono venuto solo per poter chiarire quest’immenso equivoco.  Ha presente quel momento in cui si vorrebbero dire miliardi di cose, ma alla fine ne esce solo una dalla bocca, tra l’altro la più banale? Beh, non è il mio caso: ho soltanto una cosa da dire che forse concorre alle altre migliaia, ma questa è la convergenza, ho scelto. Il problema è nato forse da quanto io odi la gente che mi osserva, mi scruta. Ha presente, no? Orribile. Mi si serra la mascella, il viso  si paralizza e non le dirò poi della sudorazione delle mani … Conto ogni fottutissimo secondo sino a quando posso liberarmi di quest’angoscia che mi stringe la gola. Non le nasconderò che non sono un animale sociale, tutte quelle cagate sulla società umana non fanno per me.Sono un lupo solitario, ma non per scelta. 
sabato 14 gennaio 2012

Che colore hanno gli alieni? (Extraterrestre portami via)

Shifting, Very Slowly
Computer-controlled LED Installation
Passò la notte accovacciato, vomitando. Da due settimane ormai stentava quasi a star in piedi, e ora, colpa anche di qualche inevitabile bicchiere di troppo, stava sboccando l’anima. Non che avesse molto cui pensare tra un conato e l’altro, ma si ritrovò a divagare mentre rigettava:  Marek rifletté proprio sulle ultime caotiche settimane al Distretto di polizia. La notizia arrivò carica di enfasi la notte del 7 novembre: un oggetto volante non identificato, al secolo U.f.O, era atterrato, o meglio schiantato al suolo, nella periferia rurale della metropoli. Non che l’evento si potesse considerare una novità  dato che tra alieni, fantasmi, serial killer pluriomicidi e mostri mutanti radioattivi, i cliché si susseguivano in un incessante catena di superstizioni inventate solo per ottenere qualche minuti di attenzione, di ascolto. Popolarità magari, celebrità. Questo era quello che al Distretto era chiamato il “margine della società tra la feccia e il centro urbano”; segnalazioni fasulle, ovviamente, che non ottenevano nemmeno una misera considerazione. Marek odiava profondamente tutta questa perdita di tempo, e il puzzo di vomito rimpolpò il disprezzo. Eppure quella maledetta notte di novembre qualcosa allarmò i poliziotti per la restante parte della serata:  la telefonata rapida, quei suoni sgradevoli ma ipnotici, paranormali. Vento, bufera. Urla.                                                                                                                                                                                        La tentazione di mandar giù una volante giusto per una controllatina veloce fu forte, ma l’orgoglio la vinse. In questa maniera la storia finì nel dimenticatoio del cestino intasato del Distretto tra delitti irrisolti  e stupri non attestati. La criminalità di Broadsest Falham non era la migliore della contea, anzi. Immaginate di respirare profondamente e pensare a tutte quelle storielle che si raccontano sui tre secondi che passano e le conseguenti tre nascite avvenute nell’arco di tre arieggiamenti polmonari. Ogni tre respiri a Broadsest Falham muoiono  invece cinque persone, di cui due probabilmente assassinate;  avvengono forse anche quattro furti tra i  vicoli bui della parte ovest della periferia industriale e innumerevoli rapine: il problema non era trascurabile. Per risolverlo, furono prese scarne misure preventive che rimasero solo vani tentativi per salvare la parvenza di un impegno. O almeno di un interessamento, osavano bofonchiare gli anziani nei pub. Già, un interessamento. Pareva proprio che l’unica a contare davvero fosse l’apparenza;  l’apparenza di agire tempestivamente e l’illusione di porre un ostacolo. Fantasie. Sostanzialmente però, l’economia globale non veniva mai seriamente intaccata dalle falle scavate dal sistema criminale, essendo alla fin della fiera una delle più efficienti  addirittura dell’intero Stato. Così con gli anni era divenuta meta ambita di emigranti in cerca di lavoro. E di alieni.                                                                                                                                          Blourgh.                                                                                                                                                                                                      Pezzi di hamburger surgelato mezzo digerito, comprato al supermercato dietro casa , cucinato al microonde in tre minuti, in tre respiri mentre gente veniva brutalmente uccisa e rapinata. No, la vita di Marek non era niente male. Per lo meno accettabile, vivibile. Aveva scoperto il trucco, ossia non pretendere mai troppo dall’esistenza: un lavoro che non porti velocemente al suicidio, un tetto sulla testa, magari qualche ragazza per scaricarsi e una Tv non ultrapiatta. Il Nirvana dei sensi; il Paradiso della nuova generazione dei disillusi. Un’ancora che affoga nel mare della banalità, un’incudine legata attorno alle caviglie e giù, tra gli abissi dell’anonimato. Bisognava fermarsi per non vomitare anche la bile. Inoltre stava perdendo troppo tempo e mentre tirava per l’ultima volta lo scarico del water, la sveglia suonò beffarda le sette in punto. Orario di sveglia e di colazione, orario per andare al lavoro. Orario di bambini che chiedono imploranti alle madri ancora cinque minuti di dormiveglia, tempo di caffè e coperte tiepide. Non per Marek, non più da due settimane. Sbuffando si alzò da terra reggendosi con il braccio destro all’asse del gabinetto per aprire la finestra del bagno ed assaporare la fresca brezza autunnale. Dacci oggi il nostro caldo smog quotidiano.
venerdì 13 gennaio 2012

El ingenioso hidalgo Don Quixote


Sotto la leggera pioggia della Spagna,
cavalcherò sicuro verso ciò che vedo sfuocato
combattendo le mie paure diventate Giganti.

Sono solo un soldato fuggito dallo schieramento della regina,
ma la mia lancia non tradirà ciò per cui ho viaggiato
e la pioggia finirà, come il mio corpo tra i Santi.

Questa battaglia per vincere  pesa come il Paradiso,
 ferendo il mio destriero e gettandomi  in una luce
che sferza tra le gocce che si spengono.

Quando tutto scivolerà via come lacrime dal mio viso,
diventerò il Re di un mondo felice
per regnare sugli orrori che mi hanno reso ciò che sono. 
giovedì 12 gennaio 2012

Lo Scrittore ( Una storia qualunque)


Lo Scrittore non aspettava visite quella sera. Tuttavia, dato che il destino  ama scombinare ogni piano, qualcuno bussò alla porta di casa sua. Di buon animo qual’era, si affrettò per poter accogliere all’uscio il visitatore, ma qualcosa lo colpì stranamente:  non si sapeva spiegare come né perché, ma davanti alla porta non c’era effettivamente nessuno, strano. Dapprima il fatto lo inquietò molto, lasciando però poi spazio ad un buon bicchiere di cognac gustato davanti al suo nuovo capolavoro: l’ultimo suo romanzo.  Eh sì, ne andava proprio fiero; in quel momento gli sembrarono indispensabili  tutti gli immensi sacrifici fatti per poter concludere quell’ opera, e gli passarono davanti agli occhi le cose che si era perso per poter continuare incessantemente nel suo lavoro:  le uscite rimandate con gli amici che ora rimandavano loro le sue richieste,  ,l’amabile madre che s’informava ogni giorno per poter aver notizie del figlio ma che ora non chiamava più, e poi Laurie ,  la sua ragazza. Dio sa quante litigate infiammarono le linee telefoniche tra i due in tutto quel periodo, ma ora erano cessate, finite. Un giorno di Settembre, umido ed uguale a molti altri, Lei lo lasciò. Così, semplicemente. Del resto, non trovò alcuna ragione al mondo per poterla biasimare: voleva la sua vita, e viverla appieno con lui, ma per lui questo non era possibile  o forse soltanto capibile.
mercoledì 11 gennaio 2012

Il Teatro dell'Orrore ( esperimento Palahniuk)

La presunzione era di sicuro il suo più grande difetto: amava se stesso, questo era l'unica certezza. In fondo non c'era da stupirsi se da piccolo la sola attività a cui si dedicava era la caccia. La caccia violenta, con sangue, viscere e morte. Tanta morte disseminata come peste. Eppure ad ogni sgozzamento, fiumi di lacrime sgorgavano piene di dolore sino alla manica destra del suo maglione preferito adibito a fazzoletto, sempre. Dolore e violenza, auto accettazione e masturbazione. La pena gli provoca tutt'ora piacere, così iniziò la scoperta della sua malattia. Una malattia senza cura, un'infezione che si espande nera ed infetta attorno al cuore, attorno al cervello avvelenando le sinapsi celebrali. Un'oscurità che inglobava tutto e spariva così come arrivava quando fagocitava la realtà: ora egli si ritrova di fronte a tre cadaveri, un martello in mano, sangue in bocca. Schizzi di liquido seminale dentro i pantaloni, lacrime pesanti come la penna del martello sul viso e un'espressione sconvolta nelle iridi. Un sorriso apatico. L'ultimo ricordo, se di ricordo si trattò, fu buio totale. Una macchia nera che come bruciatura su una pellicola cinematografica eliminava la trama della realtà, delle azioni. Tre singulti per tre corpi. Una risata condita da denti marci, una risata che assoceresti ad un clown ma non sai il perché. Gente che malata di coulrofobia impazzirebbe al suono. Flashback violenti e rapidi come un'eiaculazione di distruzione, di morte. Colpi secchi assestati su prede fuggenti, su animali da catturare, da torturare. Eliminare la carne, le ossa. Due uomini e una bambina, innocenti. Correvano svelti giù dalle scale con la paura nelle vene, ansimando e voltandosi di continuo. Ma la morte non ha fretta e lui aspettava, aspettava. Erano in trappola, semplicemente. Una casa di 300 mq con giardino, un immenso giardino curato settimanalmente che si era trasformata in una gabbia: una strategia impeccabile da freddo pianificatore. Ma non fu lui l'artefice: qualcosa aveva di certo manovrato le azioni poiché non ricordava nulla di pianificazioni o tattiche. Buio totale, come una notte senza luna.

De' Sepolcri un grido ( Rivisitazione Foscoliana) ( Remix)

Delle terre perdute,
rinvenni il senso
sulla vuota tomba

Ugo Foscolo
 dimenticata ove si more.

Le ortiche stringono la gola
che respira infinito incenso
nelle ore dell'oblio
impolverato tra la sabbia ovattata.

Senza nome la lapida piange
lacrime di nessuno,
amiche dell'oscurità,
affogando il corpo sconosciuto.

Dove sta l'ambrosia nelle acque
fredde e tortuose del Lete?
Il paradiso resta ai vivi,
la morte occupa noi.

E tra i sepolcri un grido s'innalza,
invocando pietà negata
contro l'ombra che uccide
una seconda volta i morti.


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Numero dei malcapitati

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Tutte le mie robacce

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