Uno pensa di poter esser libero quanto può.
La libertà si crea, la libertà ci crea. 



Vaghi sentori primaverili riempivano l’aria immergendo ogni cosa in un profumato abbraccio di Maggio. Sbocciati i fiori più variopinti, non restò nulla alla Natura se non godere dei frutti estasianti, frutto della sua fertilità; e così fece pure un ciliegio in fiore, sbocciato in mezzo ad un prato tagliato male e pieno di gentili ricordi di scatolette per cani. Esso si alzava placido sopra il resto, vegliando amorevolmente sulle sue limitrofe vicinanze imperfette, sconfinando in un lungo gesto di apertura alare verso il cielo, perché sì, quello che più desiderava era fuggire da quel posto.
Non che odiasse profondamente il suo mondo, così ben radicato alle sue radici, o si lamentasse dell’erba così alta da solleticargli il tronco ormai vecchio, ma si era semplicemente stancato della monotona brezza che ogni giorno, alla stessa ora, gli sbuffava caldo vento pomeridiano su tra i rami ed anche dei soliti pazzi uccelletti che saltavano come saltimbanchi matti da una fronda all’altra, rovinandogli così la curata capigliatura fiorita, di cui andava ben fiero. Si era stufato delle colite cose, così scontate e banali, tanto da essergli entrate dentro come clorofilla che lenta gli bagnava le venature della corteccia, si era stufato di tutto e basta. Ma spesso le radici che abbiamo piantato ( o ci hanno  inseminato per noi) sono troppo profonde, ed il loro stare sempre e rigorosamente nel loro posto è essenziale per la sopravvivenza del singolo, per quanto tentiamo a parole di sradicarci dal suolo in cui camminiamo, ma che ci opprime dal basso.                                                                                                                Ma il colpo di reni del ciliegio, l’ultima chance, o l’occasione della vita, arrivò tra tutta questa disperazione solitaria: la solita brezza del meriggio portò con sé i figli del sogno proibito dell’albero: i petali staccatisi dai rami più sporgenti, che ora alti si librano fin oltre le nuvole, una volta solo immaginate. Leggeri come speranze avvenute e liberi come un desiderio realizzato, fuggivano dalla prigione tetra ma fiorita della loro infanzia, sin da quando erano semplici germogli immaturi. Illusi, prima o poi cadranno, ma questo loro non lo sanno, o forse sì, nel loro inconscio. Ma l’attimo irripetibile di fuga nel cielo vale tutti i mille giorni a marcire nel suolo dal quale sono fuggiti, per aspettare la rinascita su un nuovo albero, e ricompiere il miracolo di un ciliegio sognatore e regista disperato di una tragedia a fine incerto. Intanto, i sentori primaverili si stanno spegnendo, ed il ciliegio, ora completamente solo, e senza fronde, resta a meditare sul suo avvenire: Darà ogni singola goccia di vita per donare, anche solo per un istante, un frangente di libertà ai suoi frutti, sacrificando la sua, ma gioendo assieme della loro felicità. Come un buon genitore.


Grazie