Zelda & Scott Fitzgerald negli anni della giovinezza



Lettera di Zelda Sayre Fitzgerald a F. Scott Fitzgerald
[Dopo il 15 Aprile 1919]                                                                                                  Montgomery, Alabama    
 
<< Perché le tombe dovrebbero dare una sensazione di vanità? L’ho sentito dire tanto, e Gray è così convincente, ma in un certo senso non ci trovo nulla di disperante nel fatto di avere vissuto- tutte le colonne spezzate, le mani giunte, e le colombe e gli angeli significano storie d’amore- (…) spero che la mia tomba abbia un’aria di tanti, tanti anni fa- non è buffo come, in una fila di caduti confederati, due o tre ti fanno pensare agli innamorati morti e amate morte- quando sono esattamente come gli altri, fino nel muschio giallastro? La vecchia morte così bella, così tanto bella- noi moriremo insieme- lo so- Cuore mio. >>      


Piume, scialli lunghi quanto una contraddizione ed opulenza stanno ai Roaring Twenties come Hollywood sta ai film mainstream. E tutti gli sfarzi, i lussi di case favolose e inquietanti, gli abiti glamour sono il minimo comune denominatore d’una ricerca assurda verso il senso della vita, un po’ come facciamo tutti. Solo con più alcol e più paillettes. Ed è strano come questi piccoli oggetti possano rappresentare un’intera esistenza: è proprio da una semplice ciabatta che il 10 Marzo 1948 verrà riconosciuto il corpo carbonizzato di Zelda Sayre Fitzgerald, morta nell’incendio divampato nella struttura psichiatrica di Asheville in cui era rinchiusa da parecchi anni. Tra l’altro, ash in inglese significa proprio cenere.

Chiaramente, nemmeno la nervosa impazienza di Zelda, né la poco sobria intelligenza di Scott, sono state un freno alla comune necessità dell’uomo di porsi delle domande sulla troppo fragile esistenza. Così, capita a tutti di riflettere almeno una volta nella vita all’incombenza della morte. C’è chi si ferma al semplice pensiero della lontananza di big M., oppure chi crea poesie davvero splendide: basti pensare all’epico troll di Macpherson nei Canti di Ossian o alla meno rimarcabile “Elegia scritta in un cimitero campestre” del poeta inglese Thomas Gray (per gli amici traduttori del Settecento, l’orrido Tommaso Gray. Da far accapponare la sovraccoperta di qualsiasi libro).
Proprio al caro Tommaso fa riferimento Zelda in questa lettera risalente ai primi anni di corteggiamento di una delle coppie icona più celebri. Il pezzo in questione verrà ripreso da Scott nella riflessione conclusiva del suo primo romanzo (Di qua dal paradiso,1920), a mostra del fatto che per il grande scrittore americano, la consorte fu e rimarrà sempre una sorta di nemesi/musa ispiratrice, sino al culmine, l’esplosione di autobiografia nel Grande Gatsby.

Quello che colpisce, in questo scorcio conclusivo della lettera, è la tenera illusione dell’amore. Un amore giovane, e già zoppicante, seppur saldo. E’ non mi sto ingarbugliando in contraddizioni: infatti, Zelda era una a cui piaceva far ingelosire Scott; spesso baciava un altro uomo di fronte al proprio fidanzato alias povero Fitzgerald, salvo poi confessargli amore e fedeltà eterna. Un labirinto di caratteri, questa Zelda.

Ancora più tenerezza ci conserva la nostra posteriorità a questi eventi, sapendo infatti che Zelda vivrà ancora otto anni dopo la morte dell’eterno amato Scott nel 1940, facendo la spola tra vari istituti psichiatrici. Non moriranno assieme come la giovane Zelda sperava così ansiosamente. Ed è triste, come triste è vedere morire ogni amore sincero. Tristi gli ultimi anni di scambio epistolare tra i due, con Scott impegnato in un’altra relazione ad Hollywood. Sola, Zelda
.
E come un fuoco d’artificio tardivo, sparato per sbaglio dopo quello conclusivo della serata, resta per sempre la tomba dei due, sepolti insieme- forse anche ingiustamente viste le chiare intenzioni di Scott di essere sepolto vicino al padre. Restano anche tutti gli splendidi libri di Scott, e le lettere piene di vita; i movimenti generazionali a loro ispirati, le flappers, i ruggenti anni venti che tuonano come un’eco fino ai giorni nostri e una storia. La loro storia, che dipinge un grande full stop sopra gli interrogativi riguardo alla morte: essa toglie, non aggiunge. E quando sottrae, c’è sempre qualcuno che resta solo.


<< (…) E vissero felici e contenti- o il meglio possibile.>> Lettera di Zelda a Scott (Agosto 1936)