Ilaria Martellaci- La verità 


Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent:Σιβυλλα τι θελεις; respondebat illa: αποθανειν θελω.

 ("Del resto la Sibilla, a Cuma, l'ho vista anch'io con questi miei occhi, dondolarsi rinchiusa dentro un'ampolla, e quando i fanciulli le chiedevano: "Sibilla, cosa desideri?" quella rispondeva:"Desidero morire")


Un impiegato e una dattilografa s'incontrano nell'appartamento della ragazza. Sullo sfondo, una città semi-distrutta dal nichilismo degli uomini ed indicibile (ma è Londra, s’intuisce). Qualsiasi briciola di rapporto umano è annientata dall'aridità del vivere: non esistono più valori. Lo stesso rapporto tra i due ragazzi è posticcio, blando. Come in un incubo, Tiresia- l'impiegato- avverte tutta la falsità della situazione, ma non riesce a svegliarsi. Perché l'incubo è diventata l'unica realtà; i sogni sono l'alone opaco del passato. 

Tiresia è un nome noto: nella ricca mitologia greca, egli non era solo un indovino, bensì il miglior indovino che avesse mai messo piede sulla Terra. Inoltre, dopo esser intervenuto in una disputa tra Dei, Zeus- per punizione- lo renderà l'unico uomo ad essere trasformato in donna e successivamente ri-dotato di pene (a parte forse Curtis Donovan di Misfits). Ma la peculiarità di Tiresia non sta nell'aver provato entrambi gli orgasmi, piuttosto nell'essere uno dei pochi a possedere la verità in quanto “colui che ha visto tutto”.  

Come potrebbe esistere il concetto di verità in un mondo distrutto dall'ipocrisia umana come quello di Eliot? Basta ridare un sguardo alla citazione iniziale, non a caso posta all'inizio del poemetto The Waste Land

Il senso fondamentale è qui: si percepisce l’amara e silenziosa presa di coscienza del decadimento della realtà. La Sibilla, infatti, condannata all'immortalità dal dio Apollo, è avvolta da un'aura di estrema decrepitezza, costretta allo scherno ad opera dei giovani del paese. Ancor più importante è scoprire il motivo capitale di questo risvolto esistenziale: Eliot fa coincidere la perdita dei valori con la fine della pacata esistenza terrena. Questa Pizia vecchia, seccata e stizzita è il prodotto di una generazione, è la tracotanza umana del voler strappare le notizie degli eventi dal futuro tramutata in corpo. 

 Ma, siccome la letteratura è spesso un lento rincorrersi di idee e un accorato riflesso in uno specchio lungo secoli, le stesse identiche figure così importanti nell’ideologia del poemetto- la Pizia e Tiresia- sono rinate sotto la penna dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt e il significato che veicolano è ancor più sorprendente se accostato a quanto detto su Eliot. Con meraviglia, le immagini combaciano e sembrano sprofondare l’una nell’altra. Nel romanzo del 1998, Das Sterben der Phytia (“La morte della Pizia”), Dürrenmatt tenta di rielaborare il mito di Edipo rivendendo la scala di valori della profezia della Pizia: qui il vero sovrano di Delfi non è Edipo, bensì la città stessa, sottoposta ad un decadimento materiale e morale che sfiora soltanto le immagini polverose di The Waste Land, ma che si riallaccia idealmente ad uno dei temi cardine della letteratura mondiale: la critica verso un mondo che ruota costantemente su se stesso, ma che in fin dei conti non cambia mai le regole di base. Così, l’esistenza umana immaginata da Dürrenmatt è la metafora dell’insondabilità e dell’inafferrabilità della verità, poiché, dall’alto, domina sovrano l’Enigma. L’acme del romanzo giunge nel monologo finale di Tiresia in cui egli afferma: <<La verità resiste in quanto tale se non la si tormenta>>.  

Sarebbe possibile non tormentarla, la verità? In fondo è l’unica cosa che non possediamo veramente, ma- quando manca- non c’è posto per nient’altro. Siamo quindi lontani dal mondo di T.S. Eliot, immaginato nel lontano 1922? Qui, nell’underground del XXI secolo, la verità manca ancora: solo che nessuno si preoccupa più di ricercarla.